Dominion – Un’analisi | The Boardgame

Scorrendo i classici del gioco da tavolo nella libreria, ho ripreso in mano, dopo tanto tempo, il papá dei deck-building nonchè uno dei migliori card-game di sempre: Dominion. Ideato da Donald X. Vaccarino ed edito in Italia da Stupor Mundi e successivamente da Giochi Uniti, è di recente giunto alla seconda edizione, nella quale son state inserite nuove carte ed epurate altre ritenute obsolete ai fini del gioco. Con un restyling alquanto basico e nessuna modifica alle core-rules, questa nuova versione è approdata anche in digitale, sui dispositivi mobili con l’apposita app gratuita dedicata e sul web, con un sito dove è possibile partecipare o hostare partite classificate e non, dopo una rapida iscrizione (qui il link per giocare subito).

Se da una parte sono già tantissimi i giocatori che da anni giocano a Dominion, integrandolo con le numerosissime espansioni disponibili, è vero anche che nel tempo è stato un po’ accantonato e riposto nello scaffale a prendere polvere. Ecco il perché di questo articolo, che vuole rivitalizzare le potenzialità del gioco ed analizzare le carte del set base, una alla volta, nelle possibili combo e incastri reciproci che il gioco ci permette di creare.

Cosa c’è nella scatola?

Aprendo la scatola medievaleggiante di Dominion, troviamo al suo interno 500 carte, dei separatori e un regolamento. Una volta separate in gruppi ed organizzate negli scomparti, le carte risulteranno divise in 26 mazzetti di Carte Regno, quattro mazzetti Punti vittoria (da 1/3/6 e -1) e tre mazzetti Soldi (da 1/3/6). In ogni partita si utilizzano un numero adeguato di Punti Vittoria disponibili in base al numero di giocatori (da 2 a 4) e tutti e tre i mazzi dei Soldi, inoltre sará cura dei giocatori selezionare 10 dei 26 mazzetti di Carte Regno con cui giocare la partita. Ogni mazzetto di Carte Regno contiene 10 copie della stessa carta, esaurito il quale, non sarà più possibile utilizzare quella Carta durante la partita. Se in un qualsiasi momento della partita si esauriscono tre pile qualsiasi (soldi/carte regno o punti vittoria), la partita termina. Può inoltre terminare se vengono esauriti anche soltanto i punti vittoria da 6.

Come si gioca?

Non riporterò il regolamento di Dominion in questa sede ma vale la pena accennare alle regole basilari ed essenziali del gioco. Essendo un deck-building game, lo scopo del giocatore è creare un mazzo potente ed efficace per arrivare ad accaparrarsi i punti vittoria necessari a vincere. Ogni giocatore parte con lo stesso mazzo, composto da 7 carte soldi da 1 e 3 carte punti vittoria da 1. Ad ogni turno, il giocatore pesca 5 carte coperte dal proprio mazzo ed inizia a giocare. Nel suo turno ha a disposizione: 1 Acquisto e 1 Azione. Le carte soldi che ha in mano simboleggiano il suo potere d’acquisto virtuale con cui acquisire una nuova Carta Regno fra le 10 tipologie differenti disponibili al centro del tavolo. Dopo averne acquistata una, esaurirá il suo Acquisto e dovrà scartare la mano (le carte soldi usate per acquistare non vengono eliminate, rimangono nel mazzo!) e la carta appena comprata negli Scarti. Le carte acquisite verranno ripescate successivamente all’esaurimento della pila di pesca, mescolando gli scarti. In questo modo, le nuove acquisizioni, pur non essendo subito disponibili ma “pianificate” per il futuro, andranno ad arricchire progressivamente il mazzo del giocatore, personalizzandolo e potenziandolo. Queste nuove carte regno, sono vere e proprie azioni che potranno essere giocate oltre alle carte soldi nel proprio turno. Fra i poteri più comuni di queste carte: la possibilità di giocare altre azioni; l’aumento del potere d’acquisto con soldi virtuali aggiuntivi; un maggior numero di acquisti nel proprio turno (di base, si puo acquistare una sola carta a turno). La bellezza del gioco sta proprio in questa catena di effetti derivanti dalle carte regno, che ci permetterá di calare anche decine di carte in un solo turno, per la felicità dei nostri avversari! Ovviamente, l’obiettivo finale è migliorare il nostro mazzo per acquisire le carte punti vittoria, nel taglio da 1 PV, 3 PV o le più pregiate da 6 PV. Chiaramente, lo svantaggio dell’acquisire troppe carte PV sta nel fatto che andranno a intasare la nostra pescata. Queste carte, non avendo alcun potere se non quello di farci eventualmente vincere a fine partita, sono dei macigni che bloccano alcuni o anche tutti gli slot della mano del giocatore, riducendo soldi e azioni a disposizione nel turno. Il gioco ha termine non appena un giocatore acquista l’ultima carta da un mazzetto (se questo è il terzo mazzetto esaurito) oppure se viene acquistata l’ultima carta da 6 PV disponibile. I giocatori conteranno i propri PV accumulati nel mazzo ed il totale più alto decreterà il vincitore.

L’analisi delle carte azione

Le prime Carte Regno che andremo ad analizzare sono le più economiche, quelle da 2 Soldi. Nel set base sono tre: Cellar, Chapel e Moat. Per quanto economiche, sono tutte carte con effetti alquanto potenti. Con Cellar, il giocatore può scartare tante carte quante ne desidera e ripescarne altrettante dal proprio mazzo. Un’azione che si rivela imprescindibile nel momento in cui ci si trova intasati da carte PV o da Maledizioni (i -1 PV) o anche quando si cerca di recuperare velocemente una carta dal mazzo. Con Chapel – che rimane la mia carta preferita del gioco – è possibile eliminare dalla propria mano (e definitivamente dalla partita) delle carte che riteniamo obsolete o che ci stanno bloccando la strategia del mazzo. Solitamente è una carta che viene acquisita al primo turno, perché permette di eliminare i PV dal proprio mazzo di partenza o anche dei soldi da 1, per snellire il mazzo fin da subito ed aumentare la probabilità di pescare prima possibile le nuove carte che si acquisiranno nei turni successivi. Il Moat è una carta dalla duplice funzione: da una parte ci permette di pescare due carte come azione base ed in più, ci aiuta a difenderci dalle carte Attacco, che analizzeremo più avanti. Nonostante sia una carta che a lungo termine può diventare obsoleta, per soli due soldi permette di velocizzare i primi turni di gioco.

Le carte da 3 Soldi costituiscono una base solida su cui edificare il mazzo e solitamente sono degli speeder, che ci aiutano ad avere piú azioni e carte nel nostro turno. Il Village è forse la carta più classica di Dominion: con 3 Soldi, garantisce la possibilità di giocare due azioni in più a quella base e ci permette di pescare una carta dal mazzo. Avere più copie del Village in un mazzo è consigliatissimo. Il Workshop è una carta buona soltanto nei primi turni di gioco, perchè garantisce l’acquisizione di una carta che costi 4 Soldi o meno ogni volta che viene giocata. A metà partita può tranquillamente essere eliminata con una Chapel. Il Vassal è particolare: ci regala 2 soldi virtuali da usare nel turno ma come penalità ci fa scartare la prima carta dal mazzo di pesca. Soltanto se questa è una carta azione ci lascia scegliere se giocarla subito ma se è un soldo, questo finisce dritto negli scarti. È perciò una carta rischiosa che tende a bloccare un po’ il mazzo se presa sin da subito, quando si possiedono poche azioni. Utile se associata con il Village, che sopperisce alla mancanza di Azioni aggiuntive del Vassal. Il Merchant è una versione modificata del Village: invece di darci una carta e due azioni, ci dà solo una carta e un’azione ma ci regala un soldo virtuale la prima volta che giochiamo un Silver (Soldo da 2) nel nostro turno corrente. Non imprescindibile ma comunque comoda se stiamo impostando una strategia basata sul potere d’acquisto piuttosto che sulle azioni. Infine l’Harbinger che presenta lo stesso potere base del Merchant ma modificando l’effetto finale: ci permette infatti di guardare i nostri scarti, scegliere una carta e posizionarla in cima al nostro mazzo di pesca. Un’ottima risorsa per rigiocare più volta un’azione già giocata nel turno o recuperare una carta preziosa già giocata in precedenza. Tanti Harbinger creeranno un effetto a catena micidiale, in grado di riesumare e combinare gli scarti in combo uniche. Se giocata prima del Vassal, ci permette di prepare un’azione che giocheremo gratuitamente successivamente grazie ad esso.

Le carte da 4 Soldi sono numerose rispetto a quelle da 2 e 3. Di media è possibile acquisirne una anche dal primo turno di gioco, a patto che ci capitino in mano 4 soldi e 1 solo PV. La Throne Room è una delle più interessanti fra le carte da 4: permette di giocare due volte una carta azione dalla mano. Essenzialmente è una carta copy, che pur diventando obsoleta se ci capita con una mano di soli soldi o punti, è fondamentale da metà partita in poi, specialmente se ne abbiamo un paio nel mazzo, così da incrementare le possibilità di giocarla. Lo Smithy è un semplice peschino, che ci fa pescare 3 carte in più ma senza garantirci altre azioni nel turno. Non molto conveniente come carta da 4, considerato che un Moat ci fa pescare 2 carte al costo di 2 soldi. Remodel è invece un must per chi ama scremare e migliorare il mazzo, senza ingolfarlo con carte inutili. Il vantaggio di Remodel è che ci fa eliminare una carta dalla mano e ci permette di acquisire gratuitamente un’altra Carta Regno che costi fino a 2 soldi in più di quella eliminata. Non è raro vedere giocatori eliminare i soldi da 1 (costo 0) per trasformarli in PV da 1 (costo 2) o, verso fine partita, eliminare i soldi da 3 (costo 6) per prendere i PV da 6 (costo 8). Una carta funzionale, valida per strategie a lungo termine. Il Poacher è una versione avanzata dell’Harbinger, in grado di fornirci 1 Azione, 1 Carta, 1 Soldo in un solo colpo. Come malus tuttavia, quando viene giocata, se la nostra pila di pesca è vuota, saremo costretti a scartare una carta qualsiasi dalla nostra mano. Nonostante questo svantaggio, è una delle carte più utilizzate, che permette ottime catene di azioni. Quattro Poacher nel mazzo non fanno mai male! Il Moneylender è uno scapper come la Chapel ma funziona soltanto con le carte Soldi. Eliminando una carta soldo qualsiasi, il Moneylender ci presta 3 soldi virtuali da usare nella nostra fase di acquisto del turno. Utile ma non fondamentale, fa bene il suo lavoro nei primi turni di gioco, permettendoci di sfoltire i soldi da 1, trasformandoli in soldi da 2 o anche 3 sin da subito, a patto che ci capiti la giusta pescata di turno. La Militia è una carta azione / attacco: ci garantisce due soldi virtuali per questo turno e inoltre obbliga i giocatori avversari a ridurre la propria mano a 3 carte per il corrente turno. Può essere contrastata e annullata dal Moat, a patto che gli avversari lo mostrino dalla propria mano come risposta. È una delle poche carte del set base che permettono ai giocatori di uscire dalla dimensione german del gioco – in cui ognuno cura il proprio mazzo a prescindere dagli avversari – ed entrare in una fase di interazione e contrasto. Il Bureaucrat è anch’essa una carta d’attacco e interazione, perché permette di acquisire gratuitamente un soldo da 2 chi la gioca ma obbliga gli avversari a prendere una carta PV dalla propria mano – a patto che ne abbiano – e riporla in cima al mazzo di pesca. Una carta macchinosa e non così divertente o conveniente da utilizzare, specialmente considerato che al costo di 3 soldi è possibile comprare un soldo da 2 e che già a meta partita è bene aver piu soldi da 3 che da 2 o 1 nel mazzo. I Gardens infine, sono dei moltiplicatori di PV, che garantiscono a fine partita, 1 PV aggiuntivo ogni 10 carte contenute nel mazzo del giocatore. Marginali e poco utili in caso di strategie rapide o action-based, si rivelano delle ottime carte di compensazione nel caso in cui il vostro mazzo sia irrimediabilmente ingolfato e stracolmo di carte.

L’ultima carrellata è dedicata alle carte azione da 5 e alla singola carta azione da 6. Queste ultime 9 carte sono sicuramente le più potenti e solide a disposizione dei giocatori e – come vedremo – alcune di esse meritano di essere acquistate più e più volte per ottenere delle combo micidiali. La Council Room è l’evoluzione dello Smithy: ci fa pescare 4 carte, ci permette di acquistare una carta in piu nel turno ma come malus, fa pescare una carta agli altri giocatori. Non è una carta azione fondamentale, anzi, probabilmente ne basta anche una sola copia nel mazzo, considerato che non inizia una catena di azioni ma tende piuttosto a terminarla. Il Laboratory fa parte delle Power 4 del gioco (insieme a Market, Festival e Sentry): fa pescare due carte e ci regala un’azione in piú, iniziando una catena o proseguendola . È un’evoluzione del mitico Village, con il quale va in combo perfettamente. Il Market è un po’ la carta imprescindibile di ogni partita: per cinque soldi ci permette di pescare una carta, avere un’azione in più, ottenere un soldo virtuale e fare un acquisto aggiuntivo. Praticamente ci raddoppia le possibilità del turno corrente, motivo per cui è bene acquistarne in abbondanza. La comodità del Market è che funge da cardine per la catena di azioni, specialmente se associato al Village, al Merchant, al Festival, al Poacher o al Laboratory, che sono le carte principali per iniziare o continuare una solida e rapida catena. Con il Festival, a differenza del Market, otteniamo più soldi e acquisti a discapito della pesca di carte: abbiamo infatti due soldi virtuali, due azioni e un acquisto in più. Se inseriti in una catena, i Festival ci permetteranno ben presto di accedere alle carte PV da 6 o di acquisire più carte azione in un turno. La Sentry è un’ottima evoluzione dell’Harbinger, in quanto garantisce una carta e un’azione e oltre a ciò, ci aiuta a eliminare, scartare o riorganizzare le prime due carte del mazzo di pesca. Strategica, ottima per le catene, solida da inizio a fine partita, è una delle Power 4 più utilizzate. La Library è una carta di pesca e controllo del mazzo: ci permette di riempire la mano fino ad avere 7 carte (perciò utile giocarla come ultima azione del turno) e ci fa scegliere se pescare le carte azione o scartarle alla fine della pesca. Non è una carta che ho mai apprezzato troppo ma si rivela utilissima quando il mazzo è troppo pieno e disomogeneo a livello di azioni. Non si inserisce in una catena, anzi la termina, a meno che non si possiedano azioni aggiuntive a sufficienza per proseguire la catena dopo averla giocata. La Mine è un Moneylender avanzato: ci permette di eliminare una carta Soldi dalla mano per ottenere gratuitamente in mano una carta Soldi che costi 3 in più di quella eliminata. Molto utile se consideriamo il fatto che non ci svuota la mano ma sostituisce e potenzia una carta a scelta. Comoda se presa sin da subito, di modo da migliorare velocemente i soldi da 1 in soldi da 2 senza troppi passaggi. Fondamentalmente inutile a partita inoltrata, ragion per cui è bene averne un paio e poi eliminarle al momento giusto con una Chapel o una Sentry. La Witch è l’ultima carta di costo 5: ci fa pescare due carte e “regala” ad ogni avversario una carta da – 1 PV, che rappresenta una duplice rogna, sia per il conteggio finale che per l’intasamento del mazzo. Per fortuna esistono le azioni scrapper che ci permettono di eliminare queste Maledizioni o il Remodel che può trasformarle comodamente in PV da 1. Infine l’Artisan completa la sequenza: ci regala una carta di costo 5 o inferiore e ci obbliga a rimettere sul mazzo di pesca una carta dalla nostra mano. Essendo l’unica carta azione di costo 6 è anche la meno acquistata e trovo personalmente che l’effetto non giustifichi il costo elevato. Difficilmente troveremo modo di utilizzare 6 soldi per una carta simile durante una partita, specialmente se ci concentriamo sulle catene di azioni o sul miglioramento del potere d’acquisto. È comunque una carta che per alcuni giocatori può risultare utile in partite lunghe con strategie a lungo termine.

Nonostante il numero di Carte azione del set base sia contenuto, è stato in seguito ampliato dalle numerosissime espansioni di Dominion che oltre ad aggiungere nuovi set di azioni, modificano stile, regole e andamento delle partite. Per ulteriori informazioni su Dominion e l’universo che vi ruota intorno, potete visitare la Wiki dedicata a questo indirizzo.

Al prossimo articolo!

Cos’è Squad Leader? | Un’introduzione per curiosi e neofiti | The Boardgame

Una necessaria premessa

Troppo spesso, nella vasta community di boardgamers italiani, si tende a non parlare dei Wargames, a trattarli come quei parenti scomodi di cui si conosce l’esistenza ma li si ignora. Se menziono un wargame ad un giocatore medio, nella sua mente affioreranno in sequenza queste immagini: polvere, manuali di diritto, vecchietti chini su mappe con le pinzette, ore trascorse davanti a minuscoli pezzetti di cartone. Ora, non che queste immagini non siano fondate ma sarebbe anche il caso di dissociare e modificare definitivamente queste associazioni mentali, per associarle a più gradevoli ed appassionanti visioni. Partiamo dal presupposto che i Wargame non sono affatto noiosi. Anzi. Sono probabilmente quanto di più coinvolgente e tematizzato che esista nell’ambito dei giochi da tavolo. Spesso ci si lamenta di quanto un gioco abbia meccaniche totalmente dissociate dall’argomento proposto dal gioco. Quanti giochi german sono finiti nel dimenticatoio proprio per questo motivo? Quante caprette di legno sono diventate Punti Vittoria inconsapevolmente?

Un altra questione annosa che sembra aver maledetto i Wargame è l’età media. Nelle convention nazionali è raro vedere davanti ad un Ocs della MMP (vedi link) dei ragazzi, una coppia o comunque giocatori sotto i 40 anni. Perchè? La risposta è semplice: si è creata negli anni un’immagine sbagliata del gioco storico e di guerra. C’è del pregiudizio, poco interesse a cimentarsi e capire qualcosa che occupi il cervello per più di 2 ore di gioco. In Italia inoltre si tende ad associare i giocatori di Wargame a nostalgici del regime o nazionalisti e militaristi. Nulla di più sbagliato. L’aspetto culturale che deriva da questi giochi è risaputo in tutto il mondo. Simulazioni storiche, riadattamenti ludici di conflitti politici e sociali, sono una miniera inesauribile per studiosi e curiosi.

Detto ció (e chi vi parla ha 28 anni, a riprova del fatto che l’età non conta) vorrei illustrarvi brevemente uno dei titoli con cui ho iniziato ad appasionarmi al Wargaming (e all’epoca di anni ne avevo 22): Squad Leader dell’Avalon Hill. Per avere maggiori info sull’Avalon Hill vi rimando ad un altro nostro articolo di approfondimento.

Cos’è Squad Leader?

Nel lontano 1977, quando i ragazzi non erano ancora stati assuefatti dal videogaming e dagli Smartphone, c’era una soluzione sana e intelligente per farli giocare: Squad Leader. Questo Wargame tattico (il conflitto fra forze contrapposte viene rappresentato su scala ridotta, in questo caso a livello di Squadra) ideato da Don Greenwood ed edito dall’allora ascendente compagnia Avalon Hill, fu una vera rivoluzione nel mondo del cartoncino e dei dadi. Di fatto era possibile mettere in scena piccole battaglie della Seconda Guerra Mondiale fra Teseschi, Russi e Americani, seguendo degli scenari bilanciati e progressivamente sempre più articolati. Ma come si svolge(va) una partita a Squad Leader?

Le unità

Quando ancora il fattore estetico contava meno della sostanza, i counters spadroneggiavano nel mondo dei wargame e dei gdr fantasy. Piccoli tasselli di cartoncino pressato, contenevano tutte le informazioni utili per giocare, oltre ad una silhouette dell’unitá rappresentata. Nel caso di Squad Leader, i counter raffiguravano le squadre, le armi di supporto, i tank e l’artiglieria. Ogni nazionalità era identificabile sulla base del colore del counter: i Russi marroni, i Tedeschi celesti, gli Americani verdi.

(Flyer illustrativo di Squad Leader con esempi di counter)

Ognuno di questi counters aveva un ruolo fondamentale in alcuni degli scenari proposti dal gioco. Una volta disposti sulle mappe secondo le indicazioni dello scenario, si era pronti a giocare.

Le mappe

Le mappe tattiche contenute in Squad Leader erano 4. Ognuna di esse rappresentava un campo di battaglia astratto su cui era possibile inscenare moltissime battaglie. Queste mappe, disegnate a mano e racchiuse in un reticolo di esagoni, permettevano ai giocatori di calcolare le distanze fra le unità, le potenzialitá degli attacchi ed infine ambientare la partita stessa in un luogo. Gli elementi ambientali disegnati sulla mappa non erano semplici abbellimenti, bensi veri e propri protagonisti del gioco: case dove ripararsi dal nemico, alture dove osservare l’avanzata delle squadre nemiche, radure e foreste dove organizzare agguati e così via. Il giocatore aveva così la possibilità di immaginare e vivere la battaglia come un dio che guida le sorti degli eserciti schierati.

(La mappa 1 di Squad Leader)

Il gioco

Una partita a Squad Leader era tutt’altro che una passeggiata. Bisognava impegnarsi nella lettura delle prime pagine del regolamento in inglese, spiegarlo accuratamente al proprio avversario e tener conto di tabelle ed eccezioni. Le unità schierate seguivano una sequenza di turno prestabilita, interrotte da quelle nemiche in prefissate fasi del turno. Dovevano muoversi in base alle loro capacità di movimento, considerare i possibili obiettivi e la propria potenza di fuoco, subire l’attacco nemico e talvolta finire anche in corpo a corpo dentro edifici o foreste.

Ognuno di questi aspetti del gioco è stato simulato mediante utili tabelle di riferimento, che il giocatore soleva controllare ogni volta il gioco lo imponesse. Ad esempio, muovere le proprie unità dentro una casa aveva un costo maggiore che muoverle lungo la strada. Perchè? Per simulare la “fatica” e la “tensione” del momento. Immaginate di essere un soldato in procinto di avvicinarsi ad una casa che potenzialmente potrebbe essere occupata dal nemico. Non vi muovereste con la stessa agilità, anzi, sfruttereste l’effetto sorpresa con cautela. Stessa cosa in caso di movimento all’interno di foreste o radure, dove il pericolo è maggiore. Parlando invece del combattimento, le tabelle venivano impiegate per controllare la forza base dell’unità in relazione al tiro di dado. Ma cos’è effettivamente un tiro di dado se non la simulazione di tutte le variabili possibili in un dato momento? In esso confluisce lo spazio-tempo, l’imprevedibilità delle reazioni nemiche, un evento atmosferico, la stessa variabile umana del soldato che spara (tensione, abilità balistica, persino un mal di pancia!!). Insomma, possiamo davvero dire che se non tutto è simulato, la maggior parte si. Ovviamente ognuna delle unità di fanteria utilizzate nel gioco dispone di un numero raffigurante il morale. Il Morale è la capacità dei soldati di reggere dinnanzi agli orrori della guerra, la propria disciplina in caso di disfatta, il proprio ardore e forza di volontà sul campo di battaglia. Ogni volta che un’unità subisce un “controllo del morale” durante uno scontro a fuoco, è lì che si vede chi ce la fa e chi cade ferito, abbattuto, impaurito. Per fortuna esistono i Leader, veri e propri ossi duri sul campo di battaglia in grado di migliorare il fuoco amico ed irrigidire il morale delle squadre con la propria oratoria o abilità strategica. Unitamente alle unità di fanteria, la presenza di Artiglieria e Tanks permetteva progressivamente ai giocatori di inscenare battaglie via via più complesse, sempre con l’ausilio del fedele regolamento, costruito in modo da tale da insegnare – scenario per scenario – i concetti basilari del gioco senza affaticare le giovani menti (dell’epoca). La durata di una partita è ovviamente variabile, dall’oretta e mezzo fino alle 4 ore nel caso di scenari più complessi. Ovviamente il giocatore medio guarderà quel 4 e penserà ad ore di sofferenza ed attesa ma si ricrederà subito: Squad Leader non ha mai tempi morti! Ogni mossa nemica va studiata con attenzione e si deve essere subito pronti a reagire anche nel turno avversario.

Per i più curiosi esiste Advanced Squad Leader, la versione avanzata del gioco, sviluppata dalla stessa Avalon Hill ed attualmente in mano alla Mmp. ASL è attualmente il tattico più amato al mondo ed insuperato per il livello di dettaglio e potenzialità offerte.

Probabilmente sarebbe necessario un libro per elencare tutte le bellezze di Squad Leader ma quelle fondamentali dovrebbero già avervi spinto a cercare su Google maggiori informazioni. Per concludere vi lascio qualche link utile:

• S. Masini e R. Masini – Le guerre di carta 2.0 – un libro fondamentale per conoscere i wargame e la situazione degli stessi in Italia e all’estero.

http://www.battle-board.com/minisl/ – la versione online di uno scenario base di Squad Leader. Il sito ha qualche bug ma dà sicuro una prima idea del gioco

• Il guppo di Casus Belli su Facebook, che io stesso frequento da anni e grazie al quale ho conosciuto i Wargames

HexDiceFire (www.hexdicefire.tumblr.com) il mio altro blog totalmente in inglese dedicato ai boardgame e wargames.

• Asl Italia, il forum dedicato ad Advanced Squad Leader, presente sia come sito che su Facebook.

Grazie per la lettura, spero di avervi avvicinato un pochino a questo fantastico mondo ancora troppo sconosciuto!

Andy

Wargames: perchè dobbiamo giocarli

Pesanti, lunghi, interminabili, da vecchi, matematici, da guerrafondai, polverosi, inutili, graficamente brutti, aridi. Ecco tutto ció che viene detto dei Wargame e tutto ció – che in realtà – non sono affatto. Il genere ludico meno amato in Italia – specialmente dalle fasce d’età più basse – merita una riflessione aggiornata. Troppo spesso, per incapacità o mancanza di tempo, i giocatori più o meno esperti hanno detto no al Wargame, qualunque esso fosse. Vuoi per pregiudizio, vuoi per il sentito dire, in pochi si sono confrontati con un regolamento fitto, difficile e rigorosamente in inglese come quello di un Wargame. Se questo è un attegiamento comprensibile è anche vero che è in parte dettato da un’ignoranza (genuina ovviamente), che il giocatore medio fa sua. Il disinteresse, il non riuscire ad andare oltre quello che visivamente e graficamente coglie con i suoi occhi nell’osservare un Wargame, è un problema che potrebbe essere risolto con una graduale introduzione al genere, una visita guidata fra più titoli che hanno reso grande il gioco da tavolo storico e di guerra. Bisogna avere tanta umiltá e insegnanti pazienti ma è un’esperienza che premia e garantisce molte soddisfazioni.

Da dove è giusto iniziare

Ammetto che all’inizio ci si puó sentire smarriti dinnanzi alle migliaia di scatole di gioco che ci presentano nomi di battaglie e conflitti mai sentiti prima. Data dunque la mole, sarebbe saggio selezionare – in base alle nostre conoscenze storiche – i periodi storici preferiti, restringendo così l’ambito di ricerca. Fatto ció, sarebbe utile cercare i titoli più semplici e validi. In questo senso la classifica di boardgamegeek dei wargame ci aiuta, evitandoci di andare a ripescare in soffitta scatole del 68′, davvero troppo antiche seppur colme di fascino.

Prediamo come esempio un periodo storico che va per la maggiore: la seconda guerra mondiale. Indubbiamente è uno degli argomenti piú noti e affascinanti della storia contemporanea. Un wargame su questo periodo storico adatto per neofiti è di sicuro Memoir 44′, prodotto dalla Days of Wonder e progettato da Richard Borg. Il suo sistema di gioco che mescola miniature, dadi, esagoni spaziosi e carte è un ottimo mix di elementi per giocatori di ogni età. Attraverso diversi scenari che rievocano lo sbarco in Normandia, i giocatori potranno calarsi nei panni dell’Asse o degli Alleati ed applicare le proprie strategie, seppur limitate, alle battaglie.

Dopo aver sperimentato le prime basi con questo gioco, coloro i quali vorranno entrare ufficialmente nel mondo dei Wargame, dovranno fare uno sforzo maggiore, passando a giochi più impegnativi. La GMT è in questo senso una di quelle case di giochi da tavolo che permette, attraverso i suoi titoli, un graduale inserimento nell’hobby dei wargame. I suoi numerosi titoli, seppur non abbordabili spesso come prezzi, sono concepiti sia per neofiti che per giocatori esperti. Penso a titoli come Combat Commander o Twilight Struggle, Paths of Glory o la serie Coin, passando per titoli più complessi come Panzer, la serie Great Battles of History o For the People.

C’è una grande seconda scelta da fare dopo aver compiuto i primi passi nel genere: il tipo di wargame. Oltre al periodo storico ovviamente, bisognerebbe provare a scegliere e provare uno fra differenti tipi di wargame:

  • Operazionale: con mappe di gioco che coprono interi Stati o aree comprese nel conflitto e con unità navali, terrestri ed aeree. Nei giochi di questo tipo, l’attenzione è concentrata sui rifornimenti, sulla gestione di grandi armate e sulle differenti e contemporanee operazioni in atto sui diversi fronti di una guerra. Qui il conflitto non è immediato e furioso e la partita stessa risulta più ragionata e lunga, come una simulazione storica reale.
  • Strategico: qui la mappa raffigura solitamente uno stato o un continente ma agli esagoni vengono preferiti i box e connessioni lineari fra luoghi e campi di battaglia. Le unitá utilizzate sono nettamente meno e l’attenzione si focalizza sulla politica, sulla graduale conquista di capitali, roccaforti e posizioni strategiche. Solitamente assumono molta importanza le fazioni ed i generali, che aggiungono abilitá e poteri unici. Si tratta di titoli giocabili in una serata o due, che premiano la rigiocata.
  • Tattico: con piccole mappe che ritraggono porzioni di territorio delimitate, solitamente periferie di città o città stesse. Qui le unità sono viste ‘da vicino’ ed assumono importanza le Squadre di soldati, gli artificieri, i singoli carri o i cannoni da campo. Il gioco è frenetico, lo scenario sempre differente e una partita si risolve nel giro di poche ore.

È ovviamente saggio provare ognuno di questi tre tipi di gioco, per esplorare al meglio l’ambito del wargaming. Il mio consiglio è quello di cercare un gruppo di giocatori esperti ed affidarvi ai loro tutorial e spiegazioni. In Italia, il punto di riferimento per l’hobby wargamistico è il gruppo Casus Belli presente su tutto il territorio. Lo trovate anche su Facebook, dove potrete fare domande, chiedere consigli o farvi due chiacchiere con gli appassionati del gruppo.

Grazie per la lettura e al prossimo approfondimento.

Videogame da tavolo: quando la carta simula la realtà virtuale

Nella mia carriera da giocatore e creatore di giochi da tavolo mi sono spesso posto questo quesito: è possibile trasporre un videogame in un gioco da tavolo senza snaturare il primo e sovraccaricare il secondo? Le risposte in merito son state diverse e mai del tutto soddisfacenti.

Se difatti il videogame intrattiene in tempo reale il giocatore, con il joystick/tastiera & mouse come unico medium, il gioco da tavolo deve ricorrere a più strumenti per calare il giocatore nella dimensione ludica e permettergli di controllarla. Non sempre è possibile riproporre fedelmente ció che un videogame propone utilizzando solo plance, carte, dadi e segnalini. È forse anche per questo che i molteplici tentativi di portare dei videogame nel mondo dei giochi da tavolo si è risolto in un flop o al limite nella realizzazione di prodotti il cui l’unico legame col videogame si riduceva al titolo. Penso a titoli come Starcraft, Doom, Warcraft, Age of Empires 3 (versioni da tavolo). Nessuno di questi ha realmente riprodotto il videogame ma ne ha semplicemente utilizzato i personaggi, i luoghi ed il brand. È veramente colpa degli sviluppatori? O c’è un limite invalicabile alla base?

  • Proviamo a prendere un videogame famoso come Half life, il noto papá degli sparatutto in 3D che, evolvendo le caratteristiche di Quake, ha portato gli Fps ad un nuovo standard di qualità. Volendo riproporre un titolo simile, ci sarebbero ben troppi elementi da valutare:
  • La grande quantità di nemici
  • Lo spropositato quantitativo di armi disponibili
  • La necessità di molteplici ambientazioni
  • Il numero di giocatori (un fps presuppone di solito un solo giocatore a meno che non si tratti di un fps online)
  • La visione in prima persona (improponibile in versione cartacea, pena la creazione di circa 10000 carte contenenti le possibili combinazioni di luoghi/nemici)
  • Il bilanciamento dei danni delle armi in relazione alla resistenza dei nemici
  • La struttura del combattimento (a turni, simultaneo, in 3d con miniature o in 2d con le carte)
  • La durata del gioco stesso, da limitare per evitare di farlo diventare un gioco di ruolo a sessioni.

Com’è possibile ricreare un gioco simile senza operare dei tagli? Oltretutto, potrebbe anche accadere che una versione da tavolo di un simile videogioco si riveli noiosa, macchinosa e inutile a fronte dell’immediato divertimento garantito dalla versione virtuale. È dunque possibile che non ne valga davvero la pena?

Ho provato a cimentarmi nella realizzazione del gioco da tavolo di Half Life ed il risultato è stato un deck-building cooperativo a livelli incrementali di difficoltà. A qualcuno è piaciuto ma personalmente a me non ha convinto, nonostante la fatica delle ore passate su photoshop per realizzare le quasi 200 carte contenute nel gioco.

Altro grande problema di questi giochi è la licenza, spesso costosa e concessa esclusivamente a case produttrici importanti, che finiscono per dare più importanza al marchio che alle meccaniche.

Tirando le somme è dunque chiaro che il connubio fra i due universi è raramente fattibile e comporta spesso più dispendio di quanta soddisfazione riesca a regalare poi il prodotto finale. Spero di sbagliarmi e che in futuro si riesca a produrre trasposizione degne del loro nome.

Armi & Acciaio | Recensione

Se è vero che i giochi di civilizzazione possono essere appassionanti è anche vero che troppo spesso si impiegano ore ed ore per veder conclusa una partita soddisfacente. Mi riferisco a titoli classici, come il noto Civilization della Avalon Hill, che è un po’ il padre del genere. Sulla stessa linea ma con un approccio totalmente diverso c’è Through the Ages che ha rivoluzionato l’idea del gioco di civilizzazione mediante l’uso delle carte e l’eliminazione di una mappa territoriale. Sicuramente il successo di Through the Ages è in parte dovuto al classico 7 Wonders che per primo ha collegato il tema della civilizzazione alle carte, sviluppando un gioco che astrae molto dalla realtà storica ma che lascia il senso di progressione ed evoluzione della propria nazione. Se 7 Wonders tuttavia risulta troppo rapido e frenetico e Through the ages eccessivamente meccanico e lungo, occorreva rimediare con una fresca ventata di novità. A tal scopo, la DVgiochi ha avuto la brillante idea di italianizzare un titolo emerso grazie a Kickstarter: Guns & Steel (italianizzato in Armi & Acciaio, titolo che – a parer mio – nonostante la traduzione letterale stona un po’). Gioco totalmente composto da carte (zero plance, zero gettoni, pochi cubetti utilizzabili solo con una modalità avanzata di gioco), Armi & Acciaio promette un’esperienza di gioco della durata di un’oretta combinando profondità e strategia con semplicità e rigiocabilità. Ma vediamo nel dettaglio i materiali e le meccaniche come nostro solito.

I Materiali

In una scatola relativamente piccola troviamo 100 carte divise in due mazzi, un regolamento e dei cubetti in 4 colori differenti. Le carte sono di discreta fattura ma è quasi un obbligo per un titolo simile l’utilizzo di bustine protettive. Nonostante le carte non dovranno mai esser mescolate, è bene proteggerle dalle superfici dove le adagerete.
Il regolamento è piccino ma assai prolisso, colmo di esempi e illustrazioni a colori. Non lascia spazio a dubbi eccetto in un paio di aspetti che ho compreso più iniziando a giocare che cercando nel regolamento. Per il prezzo irrisorio del gioco (16,90 Eu), i materiali sono adeguati e di buona fattura. La grafica in alcuni casi lascia un po’ a desiderare: nonostante la chiarezza del layout, trovo le immagini troppo variegate e stilisticamente diverse fra loro. La copertina del gioco sembra una cartolina di quelle prese a buon mercato dai tabaccai. Ma soprassediamo sulla grafica, poichè il gioco è talmente interessante che ne potremo far a meno.

Le Meccaniche

Premettiamo che Armi & Acciaio non è un titolo introduttivo nè un secondo 7 Wonders/7 Wonders Duel. E’ chiaro che alcuni aspetti base (costo carte, piramide tecnologica, idea generale) possono ricordare i succitati titoli ma il gioco se ne discosta totalmente. Nella preparazione si andranno a disporre (a seconda del mazzo di gioco scelto: Un nuovo mondo (introduttivo)/ Rinascimento (avanzato)) le carte tecnologia in una piramide bidimensionale. In basso avremo tante carte con poteri basici/scarsi ed in alto avremo pochissime carte veramente potenti. I 5 piani della piramide rappresentano le differenti epoche dell’evoluzione umana e sono direttamente collegati ad un nuovo tipo di risorsa (cavallo, polvere da sparo, petrolio, mondo (?), spazio (?)). Ammetto che questa scelta di risorse possa sembrare alquanto strana e discutibile ma risulta funzionale allo scopo. Ad ogni ‘piano/epoca’ è associata una meraviglia, ottenibile da un giocatore a patto che sia il primo a rispettare i requisiti elencati sulla carta. Ogni giocatore, in partenza possiede un mazzo uguale a tutti gli altri, composto da 5 carte. Queste 5 carte presentano sul retro una di due risorse base: pane e acciaio con cui iniziare ad acquisire le carte della prima epoca. Inoltre sul lato frontale ogni carta fornisce una tecnologia attivabile una volta calata. Questo perchè in Armi & Acciaio le carte sono ambivalenti e fungono sia da risorsa (se giocate coperte nella fase risorse), sia come tecnologie (se giocate nella fase tecnologie). Ogni turno, i giocatori eseguono le seguenti fasi in ordine di turno:

Fase risorse: giocare una carta dalla mano sul lato risorsa e posizionarla nella propria area di gioco.
Fase tecnologie: giocare ed attivare una carta sul lato tecnologia dalla propria mano nell’area di gioco.
Fase acquisti: esaurire (girando sul lato tecnologia) le carte risorsa necessarie a prendere una carta dalla piramide (ogni carta ha un costo indicato in risorse).
Fine turno: se si possiede 0/1 carta, si riprendono in mano tutte le carte dall’area di gioco con il lato tecnologia a faccia in su e volontariamente una o tutte le carte risorsa. Se di possiedono 2 o più carte, la fase termina qui.

Preciso che nella fase acquisti, si possono acquistare anche carte appartenenti a piani superiori, pagando tuttavia una risorsa in più per ogni carta direttamente collegata (a ramo) alla carta che si desidera acquistare ( = all’inizio è impossibile). Nella fase di fine turno, vengono controllate ed eventualmente assegnate le meraviglie: se un giocatore soddisfa i requisiti di una meraviglia, la colloca nella propria area di gioco. Se più di un giocatore soddisfa le condizioni, nessuno la prende. E’ importante considerare che solamente le persone con 0/1 carta in mano potranno concorrere all’ottenimento delle meraviglie, ergo esaurire subito in proprio mazzo non è così svantaggioso. Le carte acquistate dalla piramide inoltre non vanno subito nella mano del giocatore ma rimangono sul lato tecnologia nella propria area di gioco.  Vi starete chiedendo se si fa confusione con tutte queste tecnologie per terra: per fortuna le vostre paure saranno sfatate. Difatti, le tecnologie hanno importanza solo nel momento in cui vengono attivate dalla mano a terra. Una volta a terra perdono valore e sono utili solo se un particolare tecnologia giocata successivamente le flippa trasformandole in risorse o se ne riattiva il potere. Quando le carte in mano saranno esaurite o quasi (0/1 carta in mano), tutte le tecnologie torneranno in mano (ergo anche quelle acquistate da poco) e saranno disponibili per esser utilizzate con risorsa o come tecnologia. Le carte tecnologia si suddividono in tre tipologie: civili – che solitamente aiutano a gestire le risorse o riattivare le carte tecnologia a terra – militari – utili per potenziare il proprio arsenale bellico in vista di attacchi ad altri giocatori o eventuali difese da aggressioni – ed infine tattiche – direttamente collegate alle carte militari ed utili per aggirare gli attacchi nemici o per aumentare le proprie difese nel turno altrui.

La fine del gioco è innescata nel momento in cui l’ultima carta dell’ultimo livello della piramide è stata acquistata o al raggiungimento – da parte di un giocatore – di 15 punti vittoria nella versione avanzata del gioco. Quest’ultima versione, contempla un mazzo con nuove carte più articolate di quelle base ed un metodo di ottenimento delle meraviglie differente, basato sul piazzamento di segnalini potere sulle carte meraviglia. Inoltre prevede l’utilizzo di un piccolo contapunti personale, dove registrare i PV ottenuti nel corso della partita.

Considerazioni finali

Armi & Acciaio è un piccolo gioiello portatile. Senza eccessive pretese di realismo storico, il gioco ci conduce rapidamente attraverso varie epoche del progresso umano, permettendoci di ampliare la gamma delle nostre azioni, proporzionalmente all’acquisto di nuove tecnologie. Infinite combo, randomizzazione della piramide tecnologica, due livelli di gioco (combinabili anche in un terzo), rapidità della sequenza di turno sono tutti i punti forti di questo titolo. C’è interazione diretta e possibilità di ostruzione per i giocatori più competitivi ma c’è anche un godibile ed edificante senso di progresso per i giocatori più solitari. Le pecche ci sono, è ovvio. Non si raggiunge mai la perfezione se non imparando dagli errori ed Armi & Acciaio, nel suo piccolo ne ha diversi a parer mio. La prima cosa che non amo di questo gioco è che in alcuni momenti abbiamo dinnanzi a noi una quantità esorbitante di carte e in altri momenti zero carte. Per essere un gioco di civilizzazione, qui scompare totalmente l’appagamento visivo nel vedere la propria nazione evolversi. In 7 wonders le plance si riempiono di carte, monumenti ed edifici; in Civilization si riempiono aree intere della mappa con le nostre unità; in Through the Ages lo schermo per la gestione della nostra popolazione è affollato di cubetti, carte, potenziamenti, tracciati e leaders. In Armi e Acciaio c’è poco da vedere se non un mazzo che talvolta è tutto disposto per terra e altre volte è tutto in mano. Questa è la pecca più grande a mio parere. La durata del gioco, per le prime partite è abbastanza elevata: si arriva facilmente all’oretta di gioco fra due giocatori insperti ed all’oretta e mezzo in quattro. Ovviamente questi tempi son destinati a ridursi nelle successive partite, una volta appreso il sistema di gioco e gli effetti delle carte.  L’altra pecca è la grafica, che come già detto in precedenza, risulta poco accattivante. Sull’altro versante abbiamo comunque degli ottimi motivi per acquistare questo gioco: la rigiocabilità, l’interazione, l’ottimo livello di strategia (ci sono momenti che ci si rende conto di quanto ogni aspetto e carta siano perfettamente connessi fra di loro), il prezzo, la scalabilità discreta e la dimensione della scatola, che lo rende comodo per portarlo ovunque e riporlo nella collezione senza impazzirsi a trovare spazio.

Detto ciò, penso che spetti a voi l’ultima parola. Mi auguro di esser stato abbastanza chiaro ed esaustivo nel fornirvi le mie impressioni sul gioco. Per ogni dubbio, non esitate a scrivere a The Boardgame su Facebook o qui su WordPress. Qui trovate il regolamento completo di gioco.
Grazie ed alla prossima recensione!

Foto dell’edizione inglese del gioco

Glass Road | Recensione

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Quando si parla di Uwe Rosenberg, si parla di uno dei più geniali e solidi autori di giochi da tavolo contemporanei. Non servono mai troppe presentazioni: basta provare uno dei suoi titoli per capire se amarlo o odiarlo. Al di là dei propri gusti personali tuttavia, è innegabile che il talento di quest’uomo viaggi di pari passo con la sua inventiva e la sua prolificità creativa. Alcuni lo hanno accusato negli anni di esser troppo ripetitivo nelle sue tematiche: contadini, campi, animali sembrano essere il suo topic preferito. Peccherà dunque talvolta nella ricerca delle ambientazioni ma in quanto a solidità della sue meccaniche, non si può criticargli nulla.

La recensione del giorno è dedicata a Glass Road, titolo gestionale di Rosenberg da 1 a 4 giocatori, ambientato nella Foresta Bavarese dove, per 700 anni, si è evoluta la lavorazione del vetro. Nello specifico, parlerò della versione italiana, localizzata dalla Cranio Creations. Vedremo nel dettaglio la componentistica e passeremo poi ad illustrare le meccaniche di gioco.

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I materiali

La scatola di Glass Road ricalca gli standard di Agricola come dimensioni, ma la supera in qualità (sia per il cartone più resistente che per la grafica ed il design più curati). All’interno, troviamo un paio di kg di fustelle, contenenti tiles d’ogni sorta: dalle foreste, ai laghi, alle cave di sabbia, passando poi per gli edifici che i giocatori costruiranno durante la partite e terminando con gli ingranaggi delle ruote di produzione. Sono inoltre presenti 4 mazzi di gioco in 4 colori, dei segnalini in legno con relativi sticker da applicarvi sopra, plance dei giocatori e del mercato edifici ed infine il regolamento. Ogni singolo materiale contenuto nella scatola è di ottima fattura e qualità: tiles resistenti, carte di adeguato spessore, stampa nitida.
Il lavoro artistico è ammirevole ed anche se può incontrare o meno il gusto soggettivo di ogni giocatore, è indubbiamente una spanna sopra molti altri titoli dello stesso range (di prezzo e tematica).

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Il gioco

Glass Road non è uno dei giochi più complessi di Rosenberg ma non mi sento comunque di considerarlo un gioco semplice o per neofiti. Mi spiego: è agevole sia da spiegare che da imparare ma presenta troppe variabili da gestire e infinite strategie, cosa che potrebbe mandare letteralmente in tilt un giocatore alle prime armi o quasi. La durata di gioco è contenuta (sui 45 minuti in due per arrivare a un’oretta e mezzo in 4), quindi lo si può calare e finire in una serata, senza far eccessivamente tardi. Ma come funziona?
E’ presto detto. In Glass Road, ogni giocatore possiede una sua porzione di territorio di partenza, rappresentato da una plancia verdissima che sarà riempita nel setup con Boschi, Laghi, Cave e Frutteti. Durante il gioco questi spazi potranno essere liberati per far posto ad edifici di produzione. Ogni giocatore inizia la partita con una tabella contenente due ruote di produzione, ognuna con due lancette bloccate ad angolo ottuso, che simuleranno la produzione di Vetro (sulla prima ruota) e del Mattone (sulla seconda ruota). Inoltre, un mazzo di 15 carte azione lavoratore completerà la dotazione iniziale di ogni giocatore. Questo mazzo, dal quale ogni giocatore dovrà selezionare – in ognuna delle 4 fase che compongono la partita – 5 carte, contiene le vere e proprie azioni, sottoforma di lavoratori di diverso genere. Una volta scelte le proprie 5 carte azione lavoratore per la prima fase di gioco, il primo giocatore ne gioca una dalla propria mano. A questo punto, se qualcuno degli altri giocatori al tavolo ha una copia della carta appena giocata, deve scoprirla e metterla in uno dei due spazi appositi al lato della sua plancia. Questa situazione ha due conseguenze: la prima è che il primo giocatore potrà svologere solo una delle due azioni raffigurate sulla carta lavoratore che ha giocato; la seconda, è che i giocatori che hanno giocato copie di quella carta, in ordine di turno, avranno la possibilità anche loro di svolgere una delle due azioni raffigurate su quella carta. Nel caso in cui non ci fossero state copie della carta giocata dal primo giocatore, quest’ultimo avrebbe potuto svolgere entrambe le azioni della carta lavoratore. Ognuna delle quattro fasi ha termine non appena un giocatore gioca l’ultima delle sue 5 carte azione lavoratore Ma a cosa servono queste carte lavoratore? Essenzialmente permettono di guadagnare risorse; guadagnare risorse in base a X tiles di un dato tipo presenti sulla vostra plancia (ad esempio: ottieni X cibo dove X è uguale al numero di laghi presenti sulla tua plancia; costruire edifici prelevandoli dalla plancia degli edifici disponibili; ottenere una selezione privilegiata di edifici dalla riserva; aggiungere tiles paesaggio (Laghi, Cave, Frutteti) o disboscare una porzione di foresta. Alcuni di essi presentano un costo d’attivazione da pagare, mentre altri sono attivabili gratuitamente. Non essendoci una vera e propria strategia imposta, è possibile che un giocatore alla prima partita non sappia proprio da dove partire od a cosa dare la precedenza. Meglio prendere risorse o spenderle subito per accaparrarsi un edificio? Devo ammettere che in alcuni casi può essere davvero frustrante, considerato anche che le azioni che compirete in tutta la partita – ve lo assicuro – non saranno molte. Parlando degli edifici invece, ne esistono di tre tipi: gli edifici adibiti alla trasformazione di risorse, gli edifici che garantiscono bonus one-shot e edifici che fungono da gilde/moltiplicatori di fine partita. Tre edifici base sono impressi sulla plancia di ogni giocatore e garantiscono punti per i mattoni, il vetro e la sabbia che ogni giocatore possiederà a fine partita. Gli altri edifici dovranno essere selezionati oculatamente dai giocatori al fine di edificarli sulle proprie plance di volta in volta. E’ importante sapere che le ruote di produzione svolgono la funzione principale in tutto il gioco. E’ solo grazie ad una saggia gestione delle risorse che ci si potrà permettere di acquistare tiles edificio o pagare alcuni lavoratori. Inoltre, entrambe le ruote presentano un meccanismo di ‘scatto delle lancette’ molto particolare: all’incrementare delle risorse base, possono liberarsi dei settori della ruota davanti ad una lancetta. Se ciò accade, la lancetta si muoverà in senso orario verso il prossimo spazio occupato ed il risultato di questo movimento sarà la produzione di vetro (nella prima ruota) o di mattone (nella seconda ruota). E’ difficile rendere a parole questo meccanismo così geniale che ovvia alla necessità di kg di cubetti o counter risorsa ma vi assicuro che una volta compreso il funzionamento delle ruote di produzione, tutto il resto del gioco vi sembrerà semplicissimo da capire. Concludo specificando che a fine partita ogni giocatore conterà i punti sugli edifici costruiti e considererà i moltiplicatori derivanti dagli edifici. Semplice no? Giusto il conteggio.

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Considerazioni finali

Trovo che Glass Road sia un buon titolo, contenuto nella durata e profondo abbastanza da permettere strategie non banali in ogni partita. Sicuramente, come già accennato, può mandare letteralmente in tilt il cercare di impostare la propria partita, specialmente se è la prima. Tante risorse (acqua, cibo, carbone, argilla, vetro, sabbia, mattone, legno) da bilanciare sulle ruote di produzione; tanti differenti lavoratori che sono tutti talmente buoni che non sai mai chi dovresti scegliere e per quale motivo; edifici d’ogni sorta che vengono pescati randomicamente e che quindi variano ogni partita (il che potrebbe far storcere il naso a molti); sensazione di povertà che opprime come una cappa in diverse situazioni, specialmente quando arriva il fatidico momento di scegliere quale edificio acquistare; punti veramente bassi a fine partita ( per citare i risultati di due partite, ad una ho terminato con 17 ed una con 13) ma assenza di penalità, tipiche di Rosenberg (spazi lasciati vuoti, famiglie/lavoratori non sfamati, ecc). E’ un titolo che consiglierei a tutti ma che penso apprezzerebbero in pochi. Se avete amato Ora et Labora e le Havre di Rosenberg o se avete apprezzato il giochino di carte Oh My Goods (improntato sulla trasformazione di merci), di sicuro apprezzerete anche Glass Road. Se volete un german con worker placement, non è affatto il gioco che cercate. Se siete una famiglia e vi aveva attirato la tematica o la componentistica, non penso sia il gioco adatto per passare una serata spensierata. Se amate i giochi longevi e pieni di possibilità, non potete affatto perdervelo. L’alea è presente esclusivamente nella pesca degli edifici mentre l’interazione è presente in discreta quantità, ad esempio nella limitazione delle azioni altrui mediante le copie delle carte o nell’acquisto di edifici. Detto questo, lascio a voi l’ultima parola e vi do appuntamento alla prossima recensione.

Inis | Recensione

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Oggi parleremo di un titolo che – per la qualità dei materiali e le coloratissime e fiabesche illustrazioni – ha subito catturato l’attenzione di molti boardgamers, me incluso. Si tratta di Inis, prodotto dalla francese Matagot e tradotto in inglese dalla Asmodee. Attualmente non esiste una versione italiana ma non penso tarderà ad arrivare. Essenzialmente si tratta di un gioco ambientato in un’Irlanda incontaminata, dove sono stanziate alcune tribù di guerrieri. Ogni giocatore controllerà alcune di queste tribù e proverà – in maniera pacifica o mediante sanguinolenti scontri – ad estendersi in più territori possibile della regione, sottomettendo le tribù avversarie. Tecnicamente parlando, è un gioco di maggioranze ben ambientato, colmo di infamate e davvero poco controllabile. Ma vediamo nel dettaglio la componentistica e le meccaniche di gioco.

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I Materiali

In una scatola decisamente grande (e forse anche troppo), illustrata magistralmente, troviamo un’ottimo assortimento di materiali differenti. Tuttavia, pur essendoci una grande varietà e quantità di materiali, la qualità per alcuni di essi non eccelle. Le tessere territorio, che ricordano molto una foglia di acero, sono di ottima fattura e ben resistenti anche se talvolta non si incastrano a dovere l’una con l’altra. Le miniature, in quattro colori differenti, pur rappresentando tutte lo stesso soggetto (una tribù), sono diversificate fra di loro e questo è un aspetto che ho apprezzato. Fantastiche le miniature dei santuari, delle cittadelle e della capitale, molto evocative e dettagliate. Parlando delle carte invece, vero cuore del gioco, devo purtroppo toccare un tasto dolente. Le illustrazioni ed il layout sono bellissimi e su questo non avevo dubbi. Ognuna di esse sembra la copertina di un disco folk o progressive rock. Ma la qualità è davvero pessima. Per prima cosa sono oversized, come quelle di Dixit ma più larghe. Il che rende difficile trovare bustine economiche e adatte per proteggerle. Inoltre, bisognerebbe davvero proteggerle perchè sono più fine della copertina del libro più economico che avete e tendono a piegarsi e ad ovalizzarsi in men che non si dica. Considerato poi che il gioco si basa sul draft e l’utilizzo di queste carte, capite bene che dopo un paio di partite non rimarrà molto di queste carte. Inis è un prodotto di prezzo medio-alto, quindi non posso giustificare assolutamente questa mancanza, che a mio avviso fa perdere molti punti al gioco. Completano i materiali un regolamento a colori ben illustrato e chiaro (tranne che per le condizioni di vittoria) e dei token semplici e funzionali.

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Le Meccaniche

Inis è un boardgame che prevede dai due ai quattro giocatori ma a parer mio rende di più se giocato con il massimo dei players, perciò vi parlerò di una partita in quattro. Il setup prevede un piazzamento iniziale di quattro tessere territorio prese a caso dalla pila ed il piazzamento di due tribù per ogni giocatore in alcuni di questi quattro territori iniziali. Il primo giocatore, detto Brenn, dovrà anche piazzare la miniatura della  capitale su un territorio a sua scelta. La capitale è importantissima poichè chiunque riuscirà a mantenere la maggioranza di tribù nel territorio con la capitale, otterrà il gettone primo giocatore. Il Brenn dovrà distribuire quattro carte Azione (verdi) ad ogni giocatore. Queste carte possono essere essenzialmente di due tipi: Season e Triskel. Le Season cards sono le carte che un giocatore gioca nel suo turno per eseguire un’azione; le Triskel cards sono carte reazione che si giocano solo in risposta e solo in una determinata fase di gioco. Dopo aver ricevuto le carte, i giocatori si cimentano in un draft: scelgono una delle quattro carte iniziali e passano tre carte in senso orario o antiorario (in base alla faccia sul gettone Flock tirato dal Brenn). Delle tre carte ricevute, ne scelgono una e passano le altre due. Le due ricevute devono essere unite alle due precedentemente scelte, e fra queste quattro se ne deve scartare una. Finito il draft, ha inizio la fase Season in cui a turno, partendo dal Brenn, ogni giocatore sceglie se giocare una carta Azione Season, se Passare o se Prendere un Pretender Token. Quest’ultimo è necessario per vincere la partita ed è simile ad un biglietto per la vittoria. Quando un giocatore è certo di soddisfare almeno una delle tre possibili condizioni di vittoria, prende un Pretender token. All’inizio del nuovo turno, prima del draft, ci sarà una fase di check delle condizioni di vittoria. Se un giocatore possiede un Pretender token e soddisfa almeno una delle condizioni di vittoria, allora sarà decretato vincitore. Non possedere un Pretender token pur possedendo i requisiti per vincere, non vi condurrà alla vittoria. Tornando alle altre azioni, il giocatore può quindi giocare una carta dalla mano. Solitamente le Season cards permettono di svolgere un limitato numero di azioni: muovere tribù in zone adicenti, piazzare nuove tribù, piazzare cittadelle o santuari, sostituire tribù altrui con proprie tribù o inizare un clash. Il clash è lo scontro fra tribù, uno degli aspetti che – fra noi giocatori al tavolo – abbiamo trovato meno accattivante. In sostanza, un giocatore si dichiara aggressore e sceglie un territorio in cui è presente dove avrà inizio il clash. I giocatori aggrediti che possiedono tribù nel territorio, hanno la possibilità di proteggere una delle loro tribù dentro una cittadella (a patto che ce ne siano nel territorio in cui avviene il clash). Dopodichè, l’aggressore può Attaccare: deve scegliere un avversario ed obbligarlo ad eliminare una tribù o a scartare una carta dalla mano (a discrezione della vittima dell’aggressione). In ordine di turno, tutti i presenti nel territorio hanno l’occasione di Attaccare (come sopra), Ritirarsi verso un territorio adiacendente in cui si ha la maggioranza oppure Giocare una Epic Tale Card. E’ anche possibile accordarsi per interrompere il clash se tutte le parti coinvolte approvano. L’obiettivo del clash è quindi quello di eliminare le tribù degli avversari da un territorio o perlomeno ridurre le capacità d’azione degli avversari. Ho menzionato sopra le Epic Tale Cards: sono carte molto forti che garantiscono al giocatore un favore da un eroe o da una divinità mitica. L’altro tipo di carte che non ho menzionato sono le Priviledge: sono carte che si ottengono quando si ha la maggioranza in un territorio. Ogni territorio è legato ad una Priviledge card che ne porta il nome. Queste carte sono riassegnate ogni turno in base alle maggioranze ma quando un giocatore la ottiene, la può tenere in mano finchè non decide di usarla, anche se la maggioranza – nel territorio collegato a quella carta – è nel frattempo decaduta.
Quando tutti i giocatori passano consecutivamente nella fase Season, quest’ultima ha termine ed un nuovo turno ha inizio. All’inizio del turno, il Brenn viene riassegnato, si controllano le condizioni di vittoria di coloro che possiedono un Pretender token, ed un nuovo draft ha inizio. Per vincere la partita, il giocatore ha tre possibilità:

  1. Essere presente con le proprie tribù in almeno 6 territori
  2. Avere la maggioranza in uno o più territori dove sono presenti (in totale) almeno 6 tribù avversarie.
  3. Essere presenti in territori in cui sono presenti almeno 6 santuari.

Anche se ad un primo sguardo sembrano semplici da soddisfare, ci vuole molto prima di arrivare a soddisfarne anche solo una di queste.

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Considerazioni finali

Inis non mi ha sorpreso. Preso dall’hype pensavo si sarebbe rivelato un grande gioco e forse le mie aspettative erano irragionevolmente eccessive. Grafica pazzesca, materiali ottimi (tranne le carte), un regolamento scorrevole. Invece, quando ho iniziato a giocarci, mi son reso conto che non c’era nulla di nuovo sul fronte occidentale. Ho giocato a diversi titoli che si basano sulle maggioranze: Discworld, The King is Dead, A study in Emerald, El Grande. Ognuno di questi mi ha affascinato a modo suo pur ricorrendo ad una meccanica abusatissima. Inis mi ha lasciato alquanto neutro. La casualità delle carte, seppur mitigata dal draft, non consente grandi combo o mosse così accattivanti. La mobilità delle tribù è veramente limitata, le battaglie (clash) non sono così vantaggiose come può sembrare ed è spesso più semplice ingrassare e dominare su un paio di territori piuttosto che tentare di inserirsi in quelli altrui. C’è una buona dose di cattiverie che può portare a quei due minuti di rosicata potente ma nel complesso il gioco risulta molto statico. La dipendenza dalla lingua è molto alta, quindi se non sapete o non digerite l’inglese statene lontani; la rigiocabilità è buona ma penso che nonostante la varietà delle carte a stancare può essere la meccanica stessa. La durata proposta dalla scatola è irrealistica: ci vogliono almeno un paio d’orette in quattro (escluso il setup e la spiegazione), mentre sulla scatola parla di 60 minuti! Non mi sento di consigliarlo a qualcuno in particolare: non è un wargame se cercate un gioco di pur conflitto; non è un german, e l’alea è più che presente; non è un introduttivo, poichè presenta diversi aspetti non semplici da digerire per un neofita; non è un gioco per chi è facilmente irritabile, per cui mi sento al massimo di sconsigliarlo a questo tipo di persone. Il rapporto qualità prezzo non è così vantaggioso. Capisco che fra carte, scatola, miniature e tessere si superino i 50 euro ma la qualità dell’esperienza ludica garantita non penso valga quei soldi.
Se amate l’irlanda, la mitologia, i giochi graficamente impeccabili, le miniature e non avete grandi pretese o gusti in fatto di giochi da tavolo, allora potete anche prendere una copia di Inis senza rimanere delusi.

Grazie per aver letto la recensione, alla prossima!

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5 Boardgames che dovresti giocare (e collezionare)

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Nonostante la prolifica industria dei giochi da tavolo sembri non esaurire mai le proprie risorse (e non parlo di legno e pietra) e sia sempre pronta a sfornare giochi d’ogni genere e tematica, esistono dei titoli destinati a rimanere immortali, a dispetto della loro età. Oggi vorrei quindi parlarvi di cinque giochi che – a mio modesto parere – dovrebbero essere giocati e rigiocati da ogni gamer che si rispetti. Cinque monoliti diversi fra loro ma simili per molti aspetti: rigiocabilità, originalità e scalabilità. Sono questi tre i principali criteri in base ai quali ho selezionato i titoli che desidero proporvi. Per chi non fosse edotto su questi tre criteri, spenderò due righe per spiegarli. Rigiocabilità: termine con cui si definisce un gioco da tavolo capace di offrire un’esperienza di gioco longeva nonostante le numerose partite giocate. Originalità: termine con cui si riconosce ad un gioco un’innovazione nelle tematiche o nelle meccaniche rispetto al trend generale. Scalabilità: termine con cui si definisce la capacità intrinseca di un gioco di garantire un livello di sfida sufficientemente alto e stabile all’aumentare o diminuire dei giocatori previsti.

Detto questo, inizio a presentarvi i titoli che ho scelto, partendo dal quinto e terminando con il primo posto.

5 – 7 Wonders

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La nascita e la civilizzazione di antiche civiltà in un rapido gioco di carte. Questo è ciò che, in sintesi, ci offre 7 Wonders, geniale boardgame ideato da Antoine Bauza. Perchè ho scelto questo gioco nella mia breve lista? Il gioco in questione prevede da 3 a 7 giocatori ed effettivamente garantisce un’ottima esperienza di gioco con qualsiasi numero di giocatori al tavolo. La rigiocabilità è garantita dalle infinite possibili combinazioni di carte che potrete sperimentare – fortuna permettendo – durante ogni vostra partita. L’originalità, che anche qui perde punti a causa di una tematica poco originale, risiede quasi totalmente nelle meccaniche di gioco e nella capacità di far sedere 7 giocatori ad un tavolo garantendo profondità (quanto basta) ed una durata della partita sorprendentemente contenuta.

4 – Troyes

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In questo titolo, che abbiamo avuto già modo di recensire , i giocatori devono amministrare ed influenzare le risorse e gli abitanti della cittadina medievale di Troyes. Questo german di medio-alto livello di difficoltà, garantisce un’esperienza di gioco valida con 2,3 o 4 giocatori. Per quanto riguarda la rigiocabilità, Troyes non delude: grazie difatti alle numerose carte attività, i ruoli, gli eventi e l’aleatorietà dei dadi, nessuna partita finisce per esser identica alla precedente. Riguardo l’originalità, come Dominion utilizza un’ambientazione medievale, magistralmente ricreata a livello grafico e tematico ma pur sempre riciclata da milioni di altri titoli. Nonostante l’essenzialità dei materiali, questo titolo spesso spaventa i boardgamers per la sua complessità e per l’essere un vero e proprio ‘spaccacervelli’.

3 – Seasons

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In questo atipico boardgame, giocabile da 2 a 4 giocatori, i giocatori si affrontano in una sfida magica della durata di tre anni per decretare chi fra loro sia il miglior evocatore del reame. Il gioco offre una buona scalabilità, incrementando di poco la durata della partita all’aumentare dei giocatori. La rigiocabilità è preservata dall’ingente quantità di carte e dai diversi livelli di difficoltà selezionabili. L’originalità è ottima sia a livello tematico/grafico (i materiali sono stupendi, la grafica elegante ed i personaggi e gli oggetti son stati creati da zero) che sul versante delle meccaniche (non esiste un gioco simile a Seasons). Forse il terzo posto è anche riduttivo per un titolo del suo calibro.

2 – Race for the Galaxy

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Tomas Lehmann, affascinato dalle meccaniche di Puerto Rico, le prese in prestito e le condusse nello spazio nel lontano 2007. Ad oggi, il suo Race for the Galaxy, è ancora un magnifico gioiello insuperabile. In questo particolare caso, la scalabilità – da 2 a 4 giocatori- è ottima, anche se il gioco presenta una modifica sostanziale all’esperienza di gioco quando lo si gioca in 2. La rigiocabilità è superlativa: è praticamente impossibile fare una sola partita identica ad una precedente, se non dopo averlo giocato almeno un duecentinaio di volte. L’originalità qui non emerge nè nelle meccaniche (dato che sono un adattamento di quelle di Puerto Rico) nè nella tematica (lo spazio…). Vero è che la simbologia presente sulle carte è così pratica e innovativa (una volta superata la faticosa sessione di decifrazione) che bisogna rendere merito – almeno di questo – all’autore.

1 – Stone Age

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Ed eccoci giunti al primo posto. Molti di voi storceranno sicuramente il naso nel vedere il titolo che ho scelto come primo della lista. Ci sarà di sicuro chi si aspettava un Agricola o un Twilight Struggle e invece si ritrova Stone Age. Nel mio soggettivo parere, questo boardgame gestionale ideato da Michael Tummelhofer, ha tutte le caratteristiche per essere il boardgame per tutti. L’originalità nelle meccaniche e nella tematica è davvero ottima: di giochi sulle tribù primitive non ve ne sono molti e di validi ed il sistema a piazzamento di lavoratori combinato con il tiro di dadi e l’acquisto di carte non ha granchè eguali. La rigiocabilità è davvero eccezionale. La randomicità delle carte, unita a quella delle capanne offre sempre sfide diverse e non annoia mai, nonostante non siano molte nè le carte nè le capanne. La scalabilità è ben calibrata con delle modifiche alle meccaniche di gioco in base al numero di giocatori. Le partite a due sono molto tese e scacchistiche, mentre in 3 o 4 la durata aumenta di poco ma il clima è più disteso. Non vi deluderà. Qui la recensione completa.

T.i.m.e Stories | Recensione

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La domanda fondamentale che ci porremo ed a cui risponderemo oggi è la seguente: è possibile ricreare un’avventura grafica – simile ad un videogame – in un gioco da tavolo?
T.I.M.E Stories risponde affermativamente a questa domanda. Prodotto dalla Space Cowboys e tradotto dalla Asterion Games in Italia, è un boardgame non convenzionale che ospita fino a 2-4 giocatori e li riporta indietro nel tempo, nel manicomio dov’è ambientata la prima ed unica storia contenuta nella scatola base. Vediamo nel dettaglio la componenstistica e le meccaniche di gioco in questa breve recensione.

I materiali

Se c’è un aspetto che salta all’occhio osservando la scatola di T.S. (abbrevio per comodità), è il suo candore immacolato che al primo impatto mi ha ricordato Portal (il videogame della Valve). D’altro canto, il minimalismo della copertina non rende affatto giustizia alla profondità del gioco. Una volta sollevato il coperchio, l’intonaco prosegue anche negli interni ed in quasi tutti i componenti di gioco, fatta eccezione per le carte ed i segnalini che grazie al cielo hanno deciso di colorare. Nel complesso non è una brutta idea rendere tutto così candido, in stile sanitario appena acquistato e nonostante non mi faccia impazzire non me la sento di giudicarlo troppo male. Sorvolando la fiera del bianco, devo ammettere che la fattura dei componenti è davvero ottima: legno, cartoncino, le carte oversized magistralmente illustrate ed i dadi personalizzati. Nulla è lasciato al caso.
L’interno della scatola contiene perfettamente tutti i materiali di gioco: ogni cosa ha il suo posto ed anche se dovessimo accidentalmente capovolgere la scatola, tutto resterebbe in ordine. Un elemento davvero unico di questo gioco è che l’interno della scatola funge anche da ‘memoria per il salvataggio del gioco’. Mi spiego: è possibile che durante una partita vogliate interromperla ma non lasciare tutto piazzato sul tavolo. Gli autori di T.S. hanno pensato bene che, posizionando i materiali di gioco usati durante una partita in determinati vani, il giocatore potesse poi recuperarli continuando la partita dall’ultima mossa. Effettivamente è un’aggiunta assai comoda che mi ha convinto e che ho utilizzato un paio di volte. Un’altra particolarità è che il mazzo di carte che vi viene fornito, contendo l’intera storia (misteri e indizi compresi), non potrà essere analizzato prima dell’inizio della partita, pena il rovinarsi l’esperienza di gioco. Per comodità, ogni ‘ambiente’ del gioco, ricreato con le carte, è comodamente coperto da carte neutre col nome del mini-mazzo di appartenenza. Ogni carta è poi numerata progressivamente sul dorso, al fine di aiutare il giocatore a riordinare il mazzo senza spoilerarsi nulla.
Detto questo procediamo con l’analisi della meccanica di gioco.

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Le meccaniche

In T.S. ogni giocatore è un agente temporale che viene sincronizzato, durante la partita, con un personaggio appartenente al passato. L’obiettivo è infatti quello di risolvere dei misteriosi casi avvenuti in periodi storici più o meno remoti, utilizzando il punto di vista ed il corpo di un essere vivente di quel periodo. I giocatori infatti, ad inizio partita, scelgono uno dei personaggi disponibili con cui sincronizzarsi temporalmente. Nella scatola base è presente un discreto set di personaggi legati alla missione “Asylum”, ambientata in un manicomio negli anni 20′. Una volta che la missione avrà inizio, tutti i giocatori avranno a disposizione un ammontare di Unità Temporali, l’orologio di gioco nonchè la durata della sincronizzazione con i personaggi del passato. Le Unità Temporali possono essere perse a causa di spiacevoli eventi o utilizzate dai giocatori per compiere azioni. All’inizio della partita, i giocatori si ritrovano dentro il primo ambiente della storia: il salotto del manicomio. Ecco come appare questo ambiente sul tabellone, una volta disposte le carte ordinatamente:

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Le carte identificano i diversi spazi su cui è possibile posizionare il proprio token personaggio durante un Unità Temporale. Se avete mai giocato a videogames Punta e Clicca, sicuramente vi sembrerà una meccanica familiare. Nell’immagine, se io mettessi il mio personaggio sulla carta dell’infermiera a sinistra, successivamente risolverei l’azione a lei assegnata (scritta sul retro della carta). Per i giocatori è dunque possibile esplorare il manicomio muovendosi in gruppo di stanza in stanza (rivelando così gli scenari con le carte), oppure soffermarsi ad interagire con gli elementi/personaggi di una singola stanza. Ovviamente, lo scopo del gioco è celato all’interno delle carte e fra gli inizi forniti da esse, quindi eviterò del tutto di farvi menzione.
Parlerò tuttavia dei modi di interagire più utilizzati dai giocatori. Si passa da test sulle caratteristiche del personaggio scelto – proprio come in un Gioco di Ruolo – a rompicapi, puzzle e interazioni puramente vocali con gli ospiti del manicomio. La cosa interessante è che spesso ci si dovrà muovere molto per capire dov’è il caso di indagare prima ma parallelamente si rischierà di perdere troppe Unità Temporali vagando di stanza in stanza senza una traccia. Qui entra in gioco il fattore puramente umano: i giocatori finiranno per confrontarsi spendendo Minuti di Tempo Reale (si, parlo del nostro sistema temporale), discutendo sulle strategie da adottare. E’ in questi momenti che escono le classiche situazioni da film d’avventura: “Ci dividiamo?”, “Io prendo lui e tu leghi lei”, “Lo sapevo che era stato lui!”, “Restiamo in gruppo per avere più speranze di vincere”, e cose così. Il tutto genera un’atmosfera di totale immersione nella storia: il giocatore che parla dell’agente temporale che si sincronizza con il personaggio del manicomio! Una struttura a matrioska impressionate, che supera qualsiasi livello ottenibile da un Gdr classico.
Infine, parlando dei finali – che non rivelerò ovviamente – ce ne sono diversi, sia che vinciate, sia che perdiate la partita. Tutto sommato, questo è un’aspetto che salva il gioco da alcune critiche che mi sento tuttavia in dovere di fare.

Considerazioni finali

Ebbene si, nonostante questo sia un titolo che ha totalmente mandato in visibilio giocatori di tutto il mondo, di critiche da fargli ce ne sono. Procediamo con ordine:

  1. I creatori del gioco hanno realizzato questo piccolo gioiello che di sicuro ha un immenso potenziale ed ha tutte le carte in regola per essere un sistema di successo per integrare videogames e gdr nel formato gioco da tavolo. Tuttavia, con il prezzo della scatola base – che ammetto comprende comunque un’ottima componentistica di valore – ci rifilano una sola storia. Ma come, si chiama Time Stories al plurale e ce ne date solo una? Ironia a parte, è incredibile come, una volta giocata per intero la storia sia praticamente inutile ripeterla di nuovo. Pur volendo cambiare giocatori attorno al tavolo, vi annoiereste a morte poichè saprete esattamente dove trovare cosa e dove andare prima. Il che può generare due problemi ugualmente fastidiosi: o rovinate la partita ai novizi oppure vi annichilirete osservando passivamente la partita. Longevità del gioco: 2. Poi, se volete spendere altri trenta euro per comprarvi un altro mazzetto avventura, siete i benvenuti ma dato il costo, personalmene me lo risparmierei. Se avete invece voglia di investire in questi mazzi d’espansione, sappiate che ce ne sono già diversi sul mercato e che dai titoli e le ambientazioni sembrano comunque interessanti. Ad un terzo del prezzo li avrei presi anch’io.
  2. Molti possono apprezzare l’intensa esperienza one-shot garantita dal set base ma non riesco a capacitarmi di come il gioco abbia spiccato il volo su BGG e sia finito al 26esimo posto in classifica. Io apprezzo la freschezza delle meccaniche e la bellezza dei materiali ma non mi sognerei mai di sopravvalutare un gioco che una volta giocato due volte ho dovuto riporre definitivamente nel dimenticatoio. Pareri soggettivi? Forse.
  3. L’eccessiva quantità di testo nelle carte, lo rende davvero uno storytelling game e il che può piacere o meno. Molti apprezzano la profondità narrativa nei giochi mentre per altri è solo una fastidiosa scocciatura dover star sempre a leggere. Se avete compagnie che non conoscono l’inglese inoltre, sarete costretti a prendere il gioco in italiano, poichè la dipendenza linguistica è totale.
  4. Gli aspetti positivi li ho già menzionati nella prima parte della recensione ma vorrei ribadire quanto, nonostante le sopracitate critiche, questo sia un gioco che chiunque dovrebbe provare almeno una volta (tranquilli, tanto basta quella!). Può essere apprezzato da diverse categorie di boardgamer e non boardgamer e probabilmente può rappresentare un buon introduttivo per avvicinare i vostri amici videogamers al mondo dei giochi da tavolo.

La recensione si chiude qui ed io vi dò appuntamento alla prossima.
Grazie per aver scelto The Boardgame.